
Ci sono storie che si muovono lungo il confine sottile tra ricordo e realtà, tra radici e partenze, tra ciò che resta e ciò che va perduto. C’era una volta l’Est, opera prima di Boban Pesov, è una di queste: un graphic novel intimo, potente e profondamente attuale che scava nelle pieghe della memoria familiare e collettiva per raccontare, senza filtri né retorica, la complessità dell’identità, la fatica della migrazione e il dolore — e la forza — dell’appartenere.
La vicenda prende avvio da un’urgenza semplice ma densa di significato: Robert, trentenne cresciuto in Italia ma nato in Macedonia del Nord, riceve una telefonata. Sua madre è gravemente malata. Così, insieme alla compagna Micol, parte per un viaggio verso Skopje. Un ritorno che è anche un confronto, non solo con la madre, ma con se stesso, con le sue origini e con una terra segnata dalle cicatrici della storia. È il 2022.
Ma Pesov costruisce la narrazione su più piani temporali, intrecciando abilmente tre linee che si rincorrono e si rispecchiano. Oltre al presente, seguiamo la vicenda di Milan, il padre di Robert, che nel 1992 fugge da una Macedonia appena uscita dalla dissoluzione jugoslava, tentando la sorte come migrante clandestino in Italia. Poi lo ritroviamo nel 2001, già trasferitosi, mentre torna nella patria lasciata alle spalle, ora scossa dai conflitti tra macedoni e albanesi. Ogni segmento del racconto porta con sé un carico emotivo unico e, insieme, contribuisce a comporre un affresco corale di un’epoca e di un’identità in transito.

Ciò che colpisce sin dalle prime pagine è la sincerità del racconto: C’era una volta l’Est è autobiografico, ma non indulgente; personale, ma mai narcisistico. Pesov prende in prestito episodi della propria vita e della propria famiglia — la fuga del padre, i ricordi d’infanzia, il presente da adulto sospeso tra due mondi — per offrire una testimonianza universale. È il vissuto di tanti figli dell’est Europa cresciuti altrove, ma anche di chiunque si sia mai sentito straniero nella propria storia.
A questa onestà narrativa si accompagna una sensibilità visiva sorprendente. Pesov costruisce tavole di grande impatto, in cui ogni dettaglio è curato con attenzione maniacale: dalle insegne delle stazioni di servizio alle mappe in cirillico, dai chioschi brutalisti alle targhe stradali, ogni elemento racconta, sottolinea, incornicia. L’occhio dell’architetto si fonde con la mano dell’artista per restituire paesaggi urbani e rurali vivi, percorsi dal tempo e dalla memoria. La Macedonia che ci viene mostrata non è cartolina né nostalgia, ma carne viva, disordine, realtà.
Ma se l’aspetto visivo cattura, è il cuore del racconto che stringe il lettore in un abbraccio emotivo da cui è difficile sottrarsi. C’era una volta l’Est è una storia di padri e figli, di madri e migrazioni, di ponti lanciati tra ciò che siamo stati e ciò che potremmo essere. È una riflessione acuta e sofferta sul nazionalismo, sulla corruzione e sulla fragilità delle democrazie balcaniche, ma anche una celebrazione commossa di valori umani sempre più rari: la solidarietà, la gentilezza, l’empatia.

Emblematici in questo senso sono i personaggi secondari: Nino, il serbo di Bosnia che aiuta Milan a varcare la frontiera prima di partire per difendere Sarajevo; Vera, che interrompe i discorsi d’odio di un vicino; Micol, che riesce a colmare le distanze emotive con Robert. Sono figure che incarnano un’umanità resistente, capace di empatia anche nel mezzo del disastro. In un’epoca in cui il termine “rotta balcanica” è spesso associato solo a respingimenti e sofferenze, Pesov ci ricorda che ogni rotta è fatta di volti, scelte, gesti.
La narrazione è asciutta ma intensa, con dialoghi realistici che non hanno paura della crudezza né della tenerezza. Non c’è spazio per facili sentimentalismi: il dolore non viene estetizzato, la nostalgia non è idealizzata. E proprio per questo la commozione arriva in profondità, e resta. Il titolo, omaggio dichiarato al film C’era una volta il West di Leone, è una scelta perfetta: ci parla di frontiere, di viaggi, di est e di ovest, ma anche di epiche personali che si consumano lontano dai riflettori.
Infine, va detto: C’era una volta l’Est è una delle prime — se non la prima — graphic novel italiana a raccontare così da vicino e con tanta autenticità la Macedonia. È un’opera che mancava, che mancava davvero, e che speriamo apra la strada a nuove voci e nuove prospettive sullo spazio post-jugoslavo.
In un presente lacerato da nuove guerre, nuove migrazioni, nuovi muri, il libro di Boban Pesov è un monito e un balsamo. Ci ricorda che dietro ogni frontiera c’è una storia. E che ogni storia, se raccontata con onestà, può aiutarci a capire chi siamo — e chi potremmo diventare.
Consigliato a chi ama le storie vere, le storie che fanno male e bene allo stesso tempo. A chi crede che la memoria sia uno strumento politico. A chi, almeno una volta, ha guardato indietro per cercare se stesso.
Chi è Boban Pesov?

Boban Pesov è nato in Macedonia nel 1988, immigrato di seconda generazione in Italia dal 1996. Cresciuto in Italia, si è diplomato presso il Liceo Artistico Pint Gallizio di Alba e successivamente ha conseguito la laurea in architettura presso il Politecnico di Torino. Inizialmente si è fatto conoscere al grande pubblico con i suoi contenuti creativi su YouTube e successivamente su altre piattaforme come Instagram.
Si ringrazia sentitamente la casa editrice per averci fornito la copia ARC per questa recensione